Conosciamo il vincitore del Concorso “L’Italia Migliore Siete Voi”


Lo abbiamo scovato dopo una selezione di decine di giovani talenti del giornalismo. Il vincitore del Concorso L’Italia Migliore Siete Voi , lanciato lo scorso luglio dalla Scuola di Formazione Eidos Communication in collaborazione con il quotidiano Italia Oggi, si chiama Daniele Treu.

Daniele viene da Udine, ha 25 anni e ha già avuto delle piccole esperienze nel mondo del giornalismo.
Si è dato molto da fare per inseguire il sogno di diventare un buon giornalista.

 

 

 
 
 Scrive nella lettera motivazionale che ci ha mandato:
                          

“A spingermi verso questa avventura è stata proprio la passione nata da una serie di piccole esperienze inattese…ho capito che fare questo mestiere è un po’ come ricostruire le parti di una scacchiera, pedina dopo pedina…Ho fatto fatica e ho sofferto. Ma anche in questo caso, alla fine, ho imparato. Ad esempio, che una buona risposta vale tante inutili domande; che non esistono corsie preferenziali in fatto di storie e persone. Ma soprattutto, che è possibile controllare le paure, dall’imbarazzo di fronte alle telecamere al timore di essere giudicato male”.

   
 
Ciao Daniele! Complimenti innanzitutto! Il tuo profilo è risultato il migliore tra tutti quelli che hanno partecipato al Concorso L’Italia Migliore Siamo Noi.
Come hai saputo di questa opportunità?
 
Leggendo un vecchio numero dell’Espresso mi sono imbattuto nel concorso L’Italia Migliore Siete Voi. Sul momento ho pensato semplicemente: “Chissà che non sia la volta buona”. Mai mi sarei aspettato di dover raccontare questa vittoria oggi, ancora emozionato, come un bimbo che scarta il pacco più grande che trova sotto l’albero!

Cosa ti aspetti dal master in giornalismo della Eidos e dallo stage in Italia Oggi?

 
Come ho avuto modo di scrivere nella mia lettera motivazionale in corso di selezione, ciò che mi aspetto da questo master e dall’esperienza di Milano è: professionalità. Credo che “essere professionali” sia preliminare rispetto ad “avere una professione”. Le vie che mi aprirà Eidos, gli strumenti di lavoro che apprenderò grazie all’agenzia, le persone da cui imparerò, mi saranno di estremo aiuto per dare una forma, un senso non casuale, alla mia passione per comunicare.

Tre caratteristiche che secondo te un giornalista deve avere. E cosa deve evitare?
 
 Secondo me, prima di tutto un giornalista deve saper rischiare. E’ difficile che chi non rischi nella vita possa fare questo mestiere. Si deve esporre e deve far esporre gli altri; non deve temere mai di riportare ciò che sa. Anche quando quello che sa potrebbe fare male. Mi viene in mente Walter Tobagi. Poi, penso che la curiosità giochi il suo ruolo. Curiosità intesa come: non accontentarsi mai della prima informazione che si ricava! Avere una sorta di tendenza esplorativa, sondare il terreno fino al suo punto più nascosto ed impervio. Infine, tempismo e spregiudicatezza. Sono le discriminanti tra chi scrive bene senza scoop e chi parte da uno scoop e lo scrive come lo scrive. Per quanto mi riguarda, riuscire a sviluppare anche una sola di queste caratteristiche sarebbe già un gran bel colpo. Grazie da ora, Eidos, per l’opportunità che mi date per tentare di centrarlo.
 
Grazie a te Daniele e al tuo talento! Pubblichiamo di seguito il pezzo con il quale hai vinto il concorso. In bocca al lupo!
 
 
 
Il mestiere della perversione
 
 
di Daniele Treu
«È stato terribile che la mamma debba aver appreso queste cose dai giornalisti. Speravamo di dare la contro notizia, speravamo e invece non è accaduto. Una cosa terribile. Ma eravamo lì a cercare di capire cosa fosse successo». Queste parole sono state pronunciate il 7 ottobre 2010 da una turbata Federica Sciarelli, a poche ore dalla notizia del ritrovamento del corpo di Sarah Scazzi, annunciata alla madre in diretta al programma Chi l’ha visto?. Quella sera fu un bailamme di collegamenti, telefonate, letture dall’Ansa ed indiscrezioni in bilico tra conferma e smentita. Eppure ciò che resta, rivedendo quelle immagini, è solo il senso di estraneità di mamma Concetta, spettatrice inconsapevole di un altro caso di cronaca adattata a varietà. Abbiamo compatito quegli occhi spenti, fissi nel vuoto e non sull’obiettivo. Abbiamo reso pubblico il suo dolore privato.
 
La Sciarelli confessò che fu «terribile» rivelare alla donna una notizia del genere, in più davanti a quattro milioni di italiani sintonizzati su RaiTre. Ma doveva trovarsi lì «per capire»: non si trattava che del suo mestiere. La notizia, in fondo, è la materia prima del giornalista, la principale merce di scambio e lo strumento per schiacciare la concorrenza. E di questi tempi, l’arma mediatica più persuasiva resta la cronaca nera.
 
Il numero di fatti di sangue trasmessi sui maggiori telegiornali nazionali dal 2003 al 2011 è raddoppiato. La percentuale di spazio medio su palinsesto è passata dal 10,7 per cento del 2005 ad oltre il 20, in un arco di tempo che va dal 2006 ai primi mesi del 2008. Su sette tg, dal 2005 ad oggi, soltanto per il delitto di Perugia  sono state dedicate 941 notizie, stando all’Osservatorio Europeo sulla Sicurezza. È poi curioso notare come, sebbene il tasso dei crimini in Italia risulti inferiore a quello di Francia, Spagna e Gran Bretagna, i canali France 2, TVE e BBC abbiano deciso di seguire questi casi meno del Tg1, del Tg5 o di La7. Navigando in rete la tendenza non cambia; basti un esempio: oltre ai video pubblicati su YouTube, di recente sulle prime pagine delle testate on-line campeggia la foto dell’arresto di Salvatore Parolisi, recluso mercoledì 13 luglio 2011 per l’omicidio di Melania Rea. Ecco i titoli di tre degli ultimi contributi: «Festa con l’amante dopo il delitto», «Sangue smacchiato dall’auto di Parolisi», «La soldatessa amante di Parolisi è super cercata su Facebook». Perché da Cogne ad Erba, da Garlasco ad Avetrana, la crudeltà dei particolari assicura ancora fiumi di share?
 
Nel 1976 il filosofo francese Jean Baudrillard scriveva: «Al giorno d’oggi non è normale essere morti, e questo è un fatto nuovo. Essere morto è un’anomalia impensabile, rispetto alla quale tutte le altre sono inoffensive». Gli episodi di morte violenta, messi a nudo dal giornalismo televisivo, rivelano il «difetto di forma» nel meccanismo della nostra società opulenta. Mostrano il lato oscuro dell’animo umano, ci ricordano che siamo destinati a finire e che la nostra fine potrebbe essere orribile. È qualcosa che sconvolge ed insieme affascina. In una parola: crea lo scoop. Da qui ha origine il successo della cronaca nera, «spalmata» tra i notiziari delle 20, i talk show pomeridiani e gli speciali in seconda serata. Immancabile nei noir e nelle fiction sci-fi. E da questi presupposti nasce un nuovo stile audace di informare, fatto di slogan macabri ed atrocità in pillole. Un affare per i tecnici del crimine e gli specialisti del dettaglio cruento. Il risultato è che alla gente piace. Poi c’è chi dice che il senso della notizia è innato. E se fosse la perversione a richiedere mestiere?