Ci sei tu, il microfono ed altre 500 mila persone: è il bello della radio

Che sia una trasmissione di cronaca giornalistica o un palinsesto di musica classica, lo scopo della radio è trasportare l’ascoltatore al di fuori di ciò che sta vivendo qui ed ora, fargli vedere, col solo potere della voce, cosa accade lontano da sé.

Operazione difficile, che prevede la conoscenza di tecniche persuasive, frasi ingaggianti e ritmo per richiamare costantemente l’attenzione di chi, in qualsiasi momento, potrebbe girare la manopola e preferire un’altra voce.

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Il V weekend del Master Eidos in Giornalismo e Giornalismo radiotelevisivo si è concentrato su questo format affascinante, analizzando da un punto di vista giornalistico il mezzo di comunicazione ante-litteram più potente della parola scritta e del video.

Ad insegnare le sue sfaccettature è tornato Marco Bracconi, conduttore decennale di Italia Radio, oggi direttore dell’inserto culturale Robinson di Repubblica e docente del master da diverse edizioni.

Per parlare alla radio bisogna entrare in questo paradosso: devi metterti al microfono e pensare che non ci sia nessuno, poi immaginare che 500mila persone siano lì ad ascoltarti

Un paradosso che, all’inizio, sembrava impossibile da capire ed interiorizzare, al pari della prima regola della comunicazione radiofonica: la voce è corpo, ed essendo corpo è un mezzo di partecipazione molto più forte del web 2.0.

Ma come fa un suono ad avere corpo, ad essere percepito come qualcosa di tangibile?

Oltre le tecniche di impostazione della voce, di ritmo e speakeraggio – già studiate nel corso delle precedenti lezioni – il giornalismo radiofonico segue le regole canoniche ma ne aggiunge di proprie soprattutto nella comunicazione in diretta.

Importante è il tono della comunicazione, che deve saper mediare di intensità e stile amichevole pur mantenendo la sua autorevolezza. In nessun caso l’ansia può essere ospite della trasmissione, altrimenti la naturalezza del parlato viene meno.

La curva dell’attenzione, senza sbalzi repentini, deve essere mantenuta cercando di persuadere l’ascoltatore a sentire il prossimo ospite, la notizia successiva, utilizzando le regole dell’anticipazione senza essere ridondanti.

E qui entrano in gioco gli aspetti del racconto: poiché la voce è l’unico strumento nelle mani del giornalista, bisogna che attraverso di essa l’ascoltatore riceva le immagini mancanti. Come?

Con avverbi e frasi iconiche che raccontino i luoghi, le persone e le situazioni, facendo sentire partecipe chi non è lì di ciò che si vive in studio e durante un servizio esterno.

Costruire una trasmissione giornalistica di approfondimento di trenta minuti, pensando a tutti questi aspetti, è un altro lavoro, come abbiamo scoperto durante l’esercitazione pratica inizialmente guidati da Bracconi, poi divisi in gruppi.

Non basta pensare alla notizia, bisogna trovare le voci più autorevoli, oltre quella del conduttore, per raccontarla, connetterla alla realtà e agli altri temi del giorno, strutturando quei trenta minuti in modo che dall’altro capo del microfono la comunicazione non si interrompa.

Il tempo è essenziale, ogni minuto va programmato e costruito in modo che il conduttore sappia quando ricontestualizzare la situazione e calamitare attraverso le proprie fasi l’ascoltatore distratto.

La comunicazione radiofonica vive di forti processi di immedesimazione

Una costruzione difficile soprattuto per la diretta. Lo abbiamo imparato in aula, inscenando un programma di approfondimento in cui Bracconi-Salvini ci dava del filo da torcere.

E lo abbiamo imparato andando in giro per la stazione Termini, improvvisando un servizio radiofonico live in cui tempo e ritmo del racconto si intrecciassero ad un linguaggio semplice ma efficace, immedesimandoci nella notizia.

Trasportando la classe da un format ad un altro, dopo un breve intermezzo sulla critica gastronomica – ispirato da un pranzo di gruppo – siamo arrivati alla costruzione di un inserto culturale.

L’esempio perfetto è Robinson, di cui Bracconi è oggi il direttore. Impersonando se stesso, il professore ci ha mostrato come si svolge una riunione di redazione, invitandoci a lavorare sulle connessioni fra i temi. 

La teoria qui vale, ma ciò che conta di più è il pensiero critico del giornalista, la discussione con i colleghi, per trovare sempre idee nuove e legami diversi sull’argomento del giorno.

Perché, purtroppo, il giornalismo culturale oggi vive dell’entusiasmo del momento, non è in grado di proporre qualcosa di nuovo.

L’attualità ha sempre un suo perché, l’errore che fa il giornalismo culturale è stare dietro la realtà. Manca di coraggio, dell’idea di proporre andando contro il semplice mercato.

Questo è il corto circuito che riguarda il media di massa, il giornale ed il market. 

Conduttori e inviati radiofonici, critici gastronomici, giornalisti di terza pagina. Il lavoro del giornalista ha diverse sfaccettature e questo master ci sembra davvero affrontarle tutte.

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